- Sulla vita d’aula
L’aula scolastica è il luogo in cui si generano e si manifestano le dinamiche[1] che fondano la relazione educativa. Tra chi insegna e chi apprende si realizza una reciprocità asimmetrica: compito del maestro è quello di suscitare il desiderio del viaggio e provocare risvegli (Recalcati, 2014) ; aprire orizzonti, insegnare «all’aria aperta, per angusta, e persino sordida, che sia l’aula» (Zambrano, 2002); compito di chi apprende è di sperimentare e saggiare se stesso, aprirsi alla meraviglia per ciò che è nuovo, inesplorato, inedito. Tra i due si determina «una situazione in cui la presenza compiuta dell’uno risveglia l’anelito dell’altro» (Zambrano, 2002). L’aula scolastica è, dunque, il luogo della speranza aperto a tutti dove compito ontologico (diventare se stessi) e dovere pedagogico (aiutare l’altro a diventare se stesso) si fondono e di rafforzano reciprocamente. Benessere psicologico e apprendimento significativo sono gli ingredienti imprescindibili della relazione educativa nello spazio “aperto” dell’aula scolastica. Quando i mediatori di tale relazione sono i saperi disciplinari, si rende necessaria, da parte di chi insegna, un’azione preliminare all’incontro in aula: la ricerca metodologico disciplinare, con ciò intendendo un’analisi disciplinare condotta attraverso la doppia fedeltà al sapere esperto da un lato – e, dunque, alla sua trama concettuale dotata e al suo potenziale strutturante e generativo di conoscenza, al punto di osservazione, agli strumenti e metodi e alle forme di verifica della ricerca – e al sapere insegnato dall’altro, e, dunque al core curriculum e al profilo in uscita di chi apprende, al fine di individuare il potenziale conoscitivo e formativo degli oggetti culturali, il rapporto tra nuclei fondanti e competenze, le attività per promuovere gli apprendimenti e la valutazione dei processi e dei risultati. È da questa doppia fedeltà che nasce la mediazione didattica, frutto a sua volta di una doppia fedeltà: al sapere insegnato e al soggetto che apprende.
Lo svolgersi della mediazione didattica chiarisce bene l’idea dell’aula come “luogo sempre aperto” perché trasporre didatticamente dei contenuti culturali comporta un “essere per via”, un “camminare accanto” – docente e discente – pur con ruoli e compiti diversificati.
La prima fase della mediazione didattica è magistrocentrica: il docente sceglie ed utilizza tutte le strategie necessarie per promuovere negli studenti l’attenzione volontaria che vince l’indifferenza e motiva l’adesione al compito. Segue la fase negoziale, in cui il docente presenta contenuti e metodi del lavoro, ne esplicita gli obiettivi, ricostruisce il contesto entro cui inserire le nuove conoscenze. Lo studente interpreta l’input ricevuto e ne ricerca le ragioni dentro di sé: si interroga sul rapporto tra le richieste sottese all’input e le proprie capacità rispetto al lavoro da svolgere e ai risultati da raggiungere. Seguono, quindi, le attività di apprendimento, che potremmo definire la fase del lavoro condiviso, in cui lo studente fa esperienza culturale (studio, ricerca, produzione personale) in forma autonoma ma sulla base di quanto costruito insieme al docente nelle fasi precedenti. L’efficacia del suo lavoro, nella duplice dimensione di processo e di prodotto, sarà oggetto di valutazione da parte del docente (il voto rappresenta, infatti, un riconoscimento di tipo quantitativo del lavoro svolto e di quanto appreso in termini di conoscenze e di competenze) e di autovalutazione personale da parte di ogni singolo studente e dell’intero gruppo di apprendimento.
[1] Insieme delle interazioni in cui è immersa la diade Docente- Studente (dinamiche relazionali); Insieme di atteggiamenti, stati d’animo, interferenze emotive che accompagnano le fasi salienti della situazione di apprendimento (dinamiche affettive).
- Il caso della filosofia
È stato detto: «ciò che dobbiamo ottenere, insegnando filosofia, è consentire ai ragazzi di fare esperienza di quella cosa grande che è la filosofia» (Sini, 1993), ma che cos’ è questa cosa grande, la filosofia, di cui è bene fare esperienza? E come l’esperienza filosofica interpella la didattica?
- Che cos’ è questa cosa grande, la filosofia, di cui è bene fare esperienza?
A fronte dell’“indicibilità” della filosofia da molti proclamata, mi sembra interessante dare voce agli studenti e studentesse che, al loro primo incontro con la filosofia come sapere insegnato ne hanno tentato una definizione. Alcuni e alcune di loro scrivono: «la filosofia è una materia complessa, di cui è prima di tutto importante scoprire il legame con la vita»; «la filosofia spinge ad andare oltre la superficie delle cose, insegna a guardare anche i problemi quotidiani da molteplici punti di vista perché non si accontenta di una sola risposta e vaglia tutto criticamente, sfida ad andare oltre le proprie convinzioni». Altezza, profondità, poliprospetticità, sfida: sono queste le caratteristiche che i giovani riconoscono alla filosofia al loro primo incontro. C’è nelle loro considerazioni l’eco dell’esperienza nicciana della filosofia come «vita volontaria tra i ghiacci e le alture», come ricerca di tutto ciò che l’esistenza ha di problematico. Né sfugge agli studenti la dimensione quotidiana della filosofia, il suo essere propensione naturale a domandarsi perché. Del loro primo incontro con i filosofi riferiscono: «in maniera inconsapevole mi ero posta tante volte gli stessi problemi della filosofia e qualcosa di ciò che apprendevo era già in qualche misura dentro di me. Allora, mi sono sentito a cercare “un senso” per ciò che accade intorno a me ed anche in me stesso»; «è stato bello scoprire che i filosofi sono persone come me ed ora mi piace trattare “filosoficamente” ogni cosa che studio e che vivo». L’esperienza degli studenti e delle studentesse mette bene in luce lo stretto rapporto tra filosofia e vita, tra filosofia e senso comune; soprattutto coglie il principale interesse della filosofia – mettere a tema e comprendere idee comuni a tutti traendo il materiale filosofico grezzo su cui lavorare direttamente dal mondo e dalla nostra relazione con esso (Thomas Nagel, 1987) – e sottolinea la presenza silenziosa, entro ogni essere umano, dei paradossi della filosofia (Maurice Merleau Ponty, 1953).
Ma che cosa significa promuovere e fare personalmente esperienza di filosofia in ambiente formativo scolastico?
2.2. L’esperienza filosofica interpella la didattica: un po’ di storia
La filosofia, come forma specifica di sapere non ha in sé la sua “pedagogia”, più di quanto non l’abbiano in sé la chimica o la matematica e, dunque, quello della trasposizione didattica dei contenuti è un suo problema. Le domande a cui la didattica della filosofia ha tentato di dare risposta sono fondamentalmente le seguenti: è insegnabile la filosofia? Ha qualche cosa da insegnare? A chi e quando può insegnare qualcosa? E in quale forma può insegnare? Ricco è stato il dibattito che ha segnato la nascita e lo sviluppo della didattica della filosofia come problema filosofico, nonostante nella scuola italiana l’insegnamento-apprendimento della filosofia sia stato caratterizzato per lungo tempo da una sostanziale staticità. Affidato principalmente all’utilizzo del manuale, nella seconda metà dell’800 l’insegnamento della filosofia è rivolto agli studenti del triennio liceale nella forma di logica, metafisica ed etica (Legge Casati 1859); sarà poi la riforma Gentile (regio decreto del 1923) ad introdurre nei programmi d’esame – non d’insegnamento – la richiesta del «commento di opere inquadrate storicamente e teoricamente». L’insegnamento della filosofia è affidato al Sommario di filosofia che ne ricostruisce l’evoluzione storica (1925, 1936) lasciando uno spazio secondario alla lettura del testo filosofico. La riforma Vecchi (1937) consolida l’impostazione storicistica.
Un importante snodo evolutivo nella riflessione didattica si registra negli anni ‘60 con l’attenzione al soggetto che apprende, alle sue motivazioni e ai suoi stili cognitivi; negli anni ’70 con l’attenzione ai problemi di metodo e alla formazione in servizio dei docenti di filosofia.
Più in generale negli anni ’70 l’attenzione è rivolta al sistema scuola nel contesto della scuola di massa, al confronto tra i movimenti filosofici internazionali (lo strutturalismo, le filosofie del linguaggio e delle scienze naturali, più tardi le ermeneutiche), nonché al “tramonto delle ideologie” e alla fine delle grandi contrapposizioni culturali (idealismo, marxismo, personalismo cattolico, etc). La domanda che si pone è: esistono altre modalità di insegnamento della filosofia oltre quelle consolidate dalla tradizione italiana? E così, negli anni ’80 si rivolge l’attenzione alla mediazione didattica, ai suoi ambiti di esercizio e alla ricerca metodologico disciplinare nel contesto di un contemporaneo duplice fenomeno: il crescente bisogno sociale di filosofia reso evidente dalla richiesta di orientamenti e chiarificazioni da parte di strati sempre più ampi di persone dinanzi alla complessità dei problemi morali, sociali e politici da un lato e la crisi della filosofia come sapere accademico dall’altro. È proprio il bisogno sociale di filosofia a trasformarsi nella scuola in una precisa esigenza pedagogica e a ispirare la ricerca didattico-metodologica.
In questo contesto è da collocare la sperimentazione Brocca (1992) che propone per la filosofia insegnata un approccio storico-critico-problematico. I docenti abbandonano la logica del programma ed assumono la logica della programmazione; il contesto è quello dell’ampio dibattito sui metodi d’insegnamento (metodo storico o metodo problematico); il testo (la lettura diretta dei classici) diventa il centro della didattica ed anche il luogo in cui si supera il contrasto tra tesi opposte nell’ampio dibattito sul metodo. A seguito della riforma Gelmini (tra il 2008 e il 2013) si afferma la didattica della filosofia per competenze: del complessivo valore formativo della filosofia si accentua la sua capacità di promuovere le competenze trasversali come, ad esempio, la capacità di problematizzare, di argomentare, di esercitare il pensiero critico. Questo doveroso riconoscimento reca in sé il rischio che nella trasversalità si disperdano la specificità della filosofia e i suoi contenuti.
Lo sviluppo delle competenze trasversali – definite anche competenze per la vita – è, infatti, compito educativo comune a tutte le discipline nella prospettiva di una cultura che non sia un magazzino fornito di notizie ma la capacità di comprendere la vita, il proprio rapporto con il mondo e con gli altri viventi. Diventa allora fondamentale comprendere in che cosa la filosofia, nel suo statuto di “disciplina insegnata” possa dare il suo contributo – e quale – alla formazione personale e sociale del sé. Come è noto, nella vita della scuola italiana ci sono stati momenti in cui tale contributo è stato fortemente sottolineato e definito “essenziale” non solo in età scolare ma in tutte le fasi della vita dell’uomo e ci sono stati momenti in cui la filosofia ha dovuto perfino difendere la legittimità della propria presenza all’interno dei curricoli scolastici.
È per questo che l’attenzione agli “imprescindibili” della filosofia è diventata oggi quanto mai importante perché lo scenario attuale è caratterizzato da un’ambivalenza di fondo: da un lato la filosofia sembra uscita dal perimetro della scuola e da quello dell’università per abitare i luoghi non formali della riflessione, però, d’altra parte, sembra essere messa in dubbio la sua presenza tra i saperi essenziali (L.107/2015). Il diffuso parlare di filosofia in luoghi altri rispetto alla scuola e all’università, dunque, da un lato può essere osservato con l’occhio chiaro della speranza tanto da indurci a prefigurare un futuro in cui l’atteggiamento filosofico possa diffondersi e permeare il mondo; dall’altro, però, si offre anche allo sguardo scuro del fondato timore che la complessa esperienza filosofica sia ridotta a mero opinionismo sui fatti del giorno: «alla filosofia si ritaglia oggi al più uno spazio “sofistico”. I filosofi sono opinionisti, vendono le proprie piccole idee come merci al mercato globale, o come medicine nei sanatori per le anime. La filosofia contemporanea non è divenuta “grande politica” (e neppure “grande salute”, nella terminologia di Nietzsche), ha preferito fornire supporto argomentativo alle nuove scienze – da regina a servetta che spazza il terreno dai dubbi etici e dagli ostacoli dialettici, che triste parabola!» (Rossella Fabbrichesi, 2017).
- Innovare per conservare
Se, come è stato detto, «non si può insegnare filosofia, ma si può solo insegnare a filosofare» (Immanuel Kant, 1913); se è vero che «la filosofia non è una disciplina che sia lecito insegnare come le altre» e la cui luce si accende nell’anima «come una scintilla di fuoco» dopo «una lunga frequentazione e convivenza» (Platone, 401 a.C.), che cosa intendiamo quando parliamo di esperienza filosofica all’interno dell’aula scolastica? Intendiamo una circostanza vitale in cui gli studenti siano messi in condizione di interrogare se stessi e la realtà circostante sotto la guida esperta di un maestro e in relazione costante con il gruppo dei pari. Il cuore dell’esperienza filosofica è il pensiero al lavoro: non, dunque, un pensiero che si limita ad analizzare, vagliare e comprendere il pensiero dell’altro, quanto piuttosto un pensiero, fatto di sentimento e ragione ed impegnato a «confilosofare» (De Pasquale, 2016) per costruire la possibilità del vero; un pensiero, dunque, che si rende capace di osservare e descrivere, di individuare problemi, di costruire conoscenze, di ricordare e immaginare, di relazionarsi e comunicare, di argomentare e di creare, un pensiero, infine, che, a seguito e per effetto dell’incontro con il pensiero dell’Altro, si rende capace di pensare in proprio e di orientare le scelte del vivere quotidiano. Alla formazione di questo atteggiamento filosofico concorrono lo studio attento degli stili di razionalità caratterizzanti il pensiero occidentale; l’attenzione allo statuto epistemologico dei saperi e alla loro incidenza nelle grandi questioni della vita; concorre soprattutto il dialogo d’aula come luogo di incontro e di confronto. Diversificate sono le strategie didattiche finalizzate alla promozione dell’esperienza filosofica in classe, da quelle trasmissive[2] a quelle partecipate e cooperative[3], al flip teaching[4].
[2] Riguarda soprattutto la lezione frontale; ha il suo focus sul docente che si rivolge ad una molteplicità di persone simultaneamente, espone concetti, teorie, informazioni, analisi testuali, anticipa, riepiloga, dà indicazioni bibliografiche e metodologiche. Il suo punto di forza risiede nella conformità alle aule scolastiche e nella possibilità di trattare in tempi brevi anche situazioni complesse ma consente un livello di interazione modesto e quasi esclusivamente nella forma del dibattito e delle domande di chiarimento o approfondimento; premia il pensiero convergente e sostiene un apprendimento perlopiù imitativo.
[3] Ha il suo focus sulla relazione che si esercita attorno ad una situazione problematica complessa e sfidante assunta come obiettivo comune da raggiungere; ha presupposti costruttivisti e si basa sulla ridistribuzione del potere tra chi sa e chi apprende; ha un alto livello di interazione tra pari che dal docente sono guidati alla scoperta guidata e alla costruzione condivisa delle conoscenze a partire dai testi stimolo e dai precedenti intuitivi della filosofia presenti negli studenti. Utilizza una molteplicità di strategie d’aula, quali il problem solving, il brainstorming, l’analisi di caso, gli esperimenti mentali, gli esercizi di risonanza, la disputa.
[4] Nasce da un’inversione, non strettamente strutturale nel modo di progettare gli interventi formativi. Ha il suo focus nel rapporto tra presenza e distanza, tra vita d’aula e e-learning: nell’e-learning ogni studente ha rapporto diretto con gli oggetti culturali e con le prove di verifica; decide l’accesso alla piattaforma e ai contenuti lì presenti in modo autonomo con i tempi suoi propri. L’aula scolastica è il luogo delle attività laboratoriali cooperative svolte in presenza con un livello di interazione elevato e di tipo cooperativo ed inclusivo.
3.1 La centralità del testo
Centrale, nel dialogo d’aula, è il lavoro sul testo filosofico il cui carattere dialogico si esprime attraverso tre poli: l’autore, i destinatari (lettori) e il contesto nel quale il testo si inserisce. Di fronte al testo, docenti e studenti condividono la comune situazione di lettori, interpreti, generatori di significati. Il testo si presenta allo studente come stimolo e come provocazione: la sua risposta può essere convergente o eccedente rispetto allo stimolo. Nel primo caso lo studente sarà in grado di comprendere, sintetizzare e riprodurre quanto contenuto nel testo; nel secondo caso, genererà significati ulteriori rispetto a quanto è lì espresso. Interpretare un testo significa, infatti, trovare nelle parole scritte qualcosa che spinge il pensiero altrove verso significati cui la pagina scritta allude e rinvia. Molteplici sono le azioni che lo studente svolge sul testo: l’individuazione della scena filosofica, del problema, delle tesi sostenute dall’autore, della struttura argomentativa; la ricerca delle parole chiave e di eventuali riferimenti al contesto storico o ad altri autori; la formulazione delle questioni aperte. Nell’organizzare il lavoro sul testo, il docente sceglierà dei classici che siano adeguati al livello di comprensione degli studenti, brevi e leggibili e, al contempo, funzionali alla comprensione dell’autore e dei temi affrontati.
3.2 La scrittura filosofica
Tra la lettura dei classici e scrittura in proprio da parte degli studenti esiste un legame molto stretto. Questo legame si fonda sull’idea che a scuola si impara a scrivere di filosofia solo svolgendo un lavoro sistematico di analisi testuale, dalla quale scaturiscono due forme di apprendimento, quello imitativo – che riguarda l’acquisizione di modelli riproducibili – e quello complesso che presiede alla costruzione del nuovo. Imparare a scrivere attingendo ai testi dei filosofi significa, infatti, confrontarsi con la pluralità delle forme di comunicazione filosofica; significa imparare a riconoscere e delimitare i problemi; a lavorare per concetti e a dare loro un’adeguata struttura argomentativa; a riconoscere il lessico specifico dei filosofi, ma soprattutto, significa imparare a pensare. Questo importante aspetto dell’educazione al pensiero attraverso la pratica della scrittura filosofica ha suscitato interesse didattico nella scuola italiana a seguito di una lunga riflessione che solo recentemente si è tradotta in prassi didattica sotto l’impulso delle proposte progettuali della Società filosofica italiana e per il diffondersi sul territorio nazionale delle Olimpiadi di filosofia che, al di là della ineliminabile dimensione competitiva, in molte realtà hanno svolto una funzione formativa ed innovativa della didattica ordinaria. I docenti hanno rivisitato con i loro studenti il rapporto tra oralità e scrittura nella comunicazione filosofica, evidenziando la rilevanza dell’una e dell’altra e hanno infine accolto entrambe nella progettazione didattica ritenendole entrambe imprescindibili al dialogo filosofico. La prima – l’oralità – ha ispirato situazioni dialogiche fondate sul rapporto diretto e reciproco tra gli interlocutori ed anche su di una serie di elementi emotivamente rilevanti legati alla loro presenza, qui ed ora. Nel dialogo orale l’impegno è quello di dar voce ai propri pensieri, coltivare la pazienza dell’ascolto che legittima, riconosce e valorizza la diversità.
La scrittura, come è noto, “congela i pensieri”: un testo, una volta scritto, gode di una sua autonomia rispetto al suo autore ed è affidato al lettore, una sorta di “destinatario universale”, dotato di ragione e capacità interpretativa ma di cui non si conosce né la storia, né il volto. Nella distanza la condizione dialogica, dunque, si amplia e diventa più complessa. Questa è la ragione per cui lo studente, che voglia redigere un testo scritto, deve distanziarsi emotivamente da sé, da quello stesso sé dal quale gli deriva la passione per la scrittura; tale distanziamento, dunque, consiste nell’esercizio di un’ulteriore capacità del pensiero che si esprime nel controllo delle proprie idee, nella consapevolezza della loro scaturigine, nella scelta della modalità a sé più congeniale per esprimerle, nella revisione razionale e critica di quanto espresso. A proposito della scrittura filosofica le questioni che attualmente interessano la riflessione didattica sono il rapporto tra l’esperienza di scrittura e i curricoli disciplinari di filosofia; la progettazione di percorsi tematici testuali centrati sulla lettura-scrittura filosofica; le forme della valutazione e dell’autovalutazione dei prodotti degli studenti.
3.3 La questione delle competenze
Lunga e faticosa è stata, da parte dei docenti, l’elaborazione degli obiettivi d’apprendimento in termini di competenze. Lo stesso concetto di competenza, introdotto nella scuola per analogia con il mondo del lavoro e dell’impresa, ha per molto tempo destato in loro diffidenza; difficile soprattutto è stato pervenire ad una definizione condivisa, data la sua complessità. La competenza è, infatti, intreccio dinamico di conoscenze, abilità e capacità e compresenza di aspetti osservabili e aspetti meramente valoriali che non si offrono alla percezione e che, dunque, sono solo pensabili. Di qui il compito più spinoso per i docenti: la valutazione delle competenze. Se per le conoscenze, i docenti hanno alle loro spalle una lunga tradizione e possono disporre di un ampio repertorio di strumenti e metodi di valutazione, non così è per l’accertamento (e perfino certificazione) delle competenze. Nel caso specifico dell’insegnamento della filosofia, grande attenzione si è prestata al rapporto tra competenze trasversali e specifiche competenze filosofiche. La valorizzazione della dimensione pratica della filosofia – il cui apprendimento è volto all’ideale socratico della “vita pensata”, consapevole, responsabile – ha portato ad enfatizzare il carattere di trasversalità della filosofia e a lasciare in ombra i contenuti specifici della ricerca filosofica. Ciò ha portato ad una sorta di dissoluzione delle competenze filosofiche in quelle trasversali alla cui promozione, peraltro, concorrono tutte le discipline presenti nei curricoli scolastici e non soltanto la filosofia. La conseguenza di tale dissoluzione potrebbe essere una sostanziale insignificanza della filosofia nell’ambito dei curricoli scolastici, per evitare la quale occorre invertire il percorso della ricerca didattica in tema di competenze: non muovere dalle richieste della società della conoscenza e studiare come la filosofia possa adeguarsi a tale richieste quanto piuttosto verificare quali competenze possano essere attivate dal sapere filosofico ed messe a disposizione della formazione delle nuove generazioni. Questo potrebbe essere il percorso della ricerca: dai nuclei fondanti alle specifiche competenze disciplinari, da queste ultime alle scelte didattiche e all’utilizzo integrato delle strategie d’aula. Detto altrimenti, è dalla conoscenza della filosofia e dal suo statuto epistemologico che si deducono le competenze da promuovere, consolidare e potenziare, mettere a disposizione del proprio “essere al mondo”.
Bianca Maria Ventura
Riferimenti bibliografici
De Pasquale M., I fondamenti teorici della didattica della filosofia, Diogene Multimedia, Bologna 2016.
De Pasquale M., Confilosofare in città, Diogene Multimedia, Bologna 2016.
Fabbrichesi R., Cosa si fa quando si fa filosofia?, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017
Kant I. Comunicazione sull’ordinamento delle sue lezioni nel semestre invernale 1765-1766 (1765), in I. Kant, Antologia di scritti pedagogici, a cura di Giordano Formizzi, Il Segno dei Gabrielli, Verona 2004.
Platone, Settima lettera, 341,C-D
Merleau Ponty M., Elogio della filosofia, Paravia, Firenze 1958.
Nagel T., Una brevissima introduzione alla filosofia, Il Saggiatore, Milano 1987
Recalcati M., L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014
Ventura B.M (a cura di), Nessun giorno senza pensare. Guida alla scrittura filosofica, Diogene Multimedia, Bologna 2019.
Zambrano M., Cartas de La Pièce (correspondencia con Agustín Andreu), a cura di Agustín Andreu, Pre-Textos, Universidad Politécnica de Valencia, Valencia 2002.
Bianca Maria Ventura è professore a contratto di Scienze umane, Facoltà di Medicina, Università Politecnica delle Marche, counselor e formatrice del personale docente della scuola; è membro del Direttivo della Società filosofica italiana e della Commissione didattica che ha coordinato dal 2007 al 2019. È responsabile scientifico del progetto di educazione cooperativa Crescere nella cooperazione attivo nelle Marche dal 2006 a tutt’oggi. Ha svolto ricerca educativa per l’ANSAS e insegnato filosofia nei licei. È autrice e curatrice di molti saggi a carattere prevalentemente filosofico e didattico, tra i quali: Nessun giorno senza pensare. Guida alla scrittura filosofica (Diogene Multimedia 2019); Le sfide della cooperazione. Insieme le raccontiamo (Ecra, 2015); Crescere nella cooperazione. Pensieri lungo la via (FrancoAngeli 2011); Monitoraggio della scuola (Ivi 2007); Si era addormentata nella mia mente (Ivi 2006); In cammino (Ivi 2006) Esercitiamo il pensiero (Ivi 2002); La contemporaneità filosofica tra analitici e continentali (Ivi2000).